Capitolo 3
Il primo laboratorio
In poco tempo Nonno Paolo forma una decina di protesiste: tutte donne.
Non so dirvi perché fece questa scelta ma sicuramente risultò vincente. Con l’aiuto del padre Giacomo costruisce un villino in Via Ristori dove ospitò tutta la famiglia, mentre la prima «fabbrica» viene aperta in via Caio Mario nel quartiere Prati di Roma, proprio accanto a dove oggi vi è la sede dell’Ocularistica Italiana.
A questo punto vorrei inserire la testimonianza di mio cugino Bruno per farvi capire l’umanità e l’amore che il nonno trasmetteva al prossimo:
«Io e mio fratello Sergio siamo cresciuti in quel piccolo paradiso di Via Ristori sul quale vigilavano due divinità buone e sorridenti: Nonno Paolo e Nonno Giacomo.
E poi c’era, sempre presente, Nonna Dina che ho amato moltissimo. Io sono cresciuto lì (orfano di madre, vi arrivai dieci giorni dopo la mia nascita) e quei sei anni rappresentano il periodo più felice della mia vita: una casa piena di sole, di donne, di affetti, di canarini, di gatti. Il giardino era un trionfo di mimose, di melograni, c’erano alberi di mele e di fichi, il pollaio, un padiglione – la Capanna dello Zio Tom – pieno di sorprese (dove Nonno Paolo, aveva nascosto durante l’occupazione tedesca il maggiore Kennedy, un pilota evaso dal campo di concentramento). Rischiava la vita per carità cristiana»
Nonno Paolo aveva ancora la “fabbrica” (così veniva chiamato il laboratorio di via Caio Mario), quando si fece montare in casa un becco Bunsen per poter lavorare alle sue ricerche.
Protesi con pallina da lui inventate per riempire la cavità:
A lungo cercò di sostituire il vetro con un altro materiale. Aveva delle forme che riempiva di una materia plastica che poi infornava. Ma poi rinunciò perché quel materiale irritava la cavità.
Ricordo che Nonno Paolo era molto amico di due grandi accademici, i professori Bietti e Strampelli, ai quali suggerì di fare un sorta di asola nel muscolo che presiedeva al movimento degli occhi in modo che la protesi, alla quale avrebbe aggiunto un’appendice peduncolare, si muovesse insieme all’occhio “buono”.
Nonno Paolo, uomo intelligente e curioso. Non smetteva mai di sperimentare nuove tecniche, nuovi materiali.
Conformatore per protesi con picciolo:
Protesi con picciolo:
Il Professor Strampelli, primario all’Ospedale San Giovanni, cominciò a lavorare con nonno Paolo per mettere a punto un intervento che permettesse alla protesi di muoversi come l’altro occhio. Dopo numerosi tentativi il prof. Strampelli mise a punto un intervento con il quale non rimuoveva tutto l’occhio ma solo la cornea (parte trasparente) e la parte interna dell’occhio e, lasciando i muscoli attaccati alla sclera (parte bianca), formava con la mucosa della bocca una sorta di tasca che cuciva all’interno della sclera stessa.
Un conformatore speciale, inventato dal nonno, con una specie di uncino che si infilava nella sclera stessa per dare movimento alla protesi, veniva applicato a fine intervento.
Il professor Strampelli denominò questa tecnica: Evisceratio Plastica
L’intervento, che qui vi mostra lo straordinario risultato, fu effettuato su centinaia di pazienti che poterono applicare la protesi con il picciolo
che gli consentiva di far muovere la protesi. Oggi questo intervento è sostituito da un altro intervento più semplice: si inserisce una biglia all’interno della cavità al posto dell’occhio, che attaccata ai muscoli fa muovere la protesi.
<<Nonno Paolo era una specie di mago. Imponeva le mani e faceva passare il mal di testa.
Era amico di un famoso ocultista, il professor Toddi, esperto di filosofie orientali, che qualche influenza l’ha avuta su di lui. Nonno Paolo si occupava dell’occhio ma anche dell’anima dei suoi clienti (ma possiamo chiamarli “pazienti”). La gente usciva da ogni seduta rasserenata.
Curava la cavità, quando necessario dopo un fatto traumatico, per ammorbidirla, distenderla. Lo faceva con un unguento e dei massaggi elettrici. Aveva una valigetta color viola con dentro tanti strumenti di vetro (pettini, cucchiai, spatole e di altre forme) nei quali faceva passare la corrente elettrica.
Ne sprizzavano scintille. L’aria sapeva di ozono. Con questi strumenti curava i geloni, i postumi di una frattura, i dolori alle ossa.
Ho sperimentato personalmente un trattamento ai geloni, durante l’occupazione tedesca. Guarii.>>
(Testimonianza di Bruno Modugno)